Si alla sanzione disciplinare del licenziamento se l’assenza ingiustificata supera i tre giorni nell'arco di un biennio. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent. 21-06-2021, n. 17600
La Corte d'Appello di Venezia, con la sentenza n. 202 del 2019, ha rigettato il reclamo proposto da G. D., nei confronti del Ministero della giustizia, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Vicenza, in fase di opposizione all'ordinanza resa nella fase sommaria.
La Corte d'Appello, in premessa, ha richiamato le statuizioni del Tribunale, che era stato adito dal lavoratore che aveva impugnato il licenziamento irrogatogli il 18 febbraio 2014, ai sensi dell'art. 55-quater, comma 1. lettera b), del d.lgs. 165 del 2001, e dell'art. 13, comma 2, lettera a), del CCNL 2003, come mod. nel 2007 (assenza priva di valida giustificazione nei giorni 22-25 ottobre 2013).
Tribunale aveva affermato quanto segue:
Il licenziamento non era carente di motivazione atteso che la P.A. aveva valutato la relazione psicologica prodotta dall'incolpato.
Il licenziamento era tempestivo, in quanto il lavoratore aveva allegato di aver telefonato il 16 ottobre, come indicato nella nota 26 ottobre 2013 della Direzione della
Casa circondariale dove prestava servizio, a giustificazione del suo status psicologico e tuttavia tale giustificazione era irrilevante ai fini della successiva assenza 22-25 ottobre.
Non vi era stata violazione della tempistica dell'art. 55-bis, in quanto il dies a quo decorreva dal ricevimento della notizia qualificata (nota del 26 ottobre 2013 del Direttore della Casa circondariale) del fatto disciplinarmente rilevante da parte dell . UPD, intervenuta il 29 ottobre 2013 attesa la data del protocollo.
Pertanto, il 120° giorno decorreva dal 29 ottobre. Inoltre, il lavoratore rientrato in servizio il 18 novembre, seppur sollecitato ripetutamente per iscritto non produceva certificati medici o altri documenti giustificativi delle suddette assenze, di talchè anche tenuto conto di ciò il termine era stato rispettato.
Il licenziamento era fondato nel merito, atteso che la documentazione giustificativa consisteva nella relazione psicologica che non era una certificazione medica rilasciata da struttura pubblica prevista per legge quale strumento tipico ed esclusivo idoneo a giustificare l'assenza (art. 55-septies del d.lgs. n. 165 del 2001). La CTP non portava allegati i documenti richiamati per cui non era possibile apprezzarne le considerazioni.
Il codice disciplinare era pubblicato sul sito dell'ente (art. 55. comma 2. del d.lgs. n. 165 del 2001).
La sanzione era proporzionata non essendovi prova della scusabilità, atteso inoltre che la reiterata ed inevasa richiesta di documentazione evidenziava colpa grave se non dolo omissivo del dipendente che perseverava nella propria omissione.
La Corte d'Appello ha rigettato il reclamo premettendo che era incontestato che nel 2013 il D. già assente per ferie e per scontare altra sanzione (45 gg. di sospensione relativa ad altra tipologia di assenza dal lavoro), doveva riprendere servizio il 26 agosto a Vicenza, ma il lavoratore cadeva in malattia per altri 2 mesi (10 certificati medici), non rientrava nemmeno finiti i periodi dei certificati (22-25 ottobre), disertava il lavoro anche il 26 ottobre e i giorni successivi fino al 18 novembre, coperto da ulteriori certificati medici.
Non produceva altro che CTP che recepiva le proprie dichiarazioni al consulente dott.ssa Stocchi (la quale dopo il colloquio con il Danna concludeva per la convinzione della involontaria assenza, a causa di uno stato confusionale in cui era caduto e che il lavoratore, quando avrebbe ottenuto il trasferimento, avrebbe potuto svolgere ancora in modo più ottimale l'attività e guarire dalla depressione).
La Corte d'Appello quindi effettuava le seguenti osservazioni. Il dies a qua per l'inizio (40 giorni) e la conclusione (120 giorni) del procedimento disciplinare ex art. 55-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, era il 29 ottobre.
Rilevava a tali fini la data di ricezione da parte dell'UPD (missiva del 26 ottobre protocollata il 29 ottobre), e comunque il lavoratore non aveva prodotto nulla per giustificare l'assenza oltre la CTP.
Non poteva assumere rilievo la data del 16 ottobre, quando c'era stata la telefonata del lavoratore, in quanto meramente predittiva di future assenze.
Quindi, entro 1'8 dicembre sarebbe dovuta intervenuta la contestazione (avvenuta il 6 dicembre), ed entro il successivo 26 febbraio doveva concludersi il procedimento
(conclusione avvenuta il 18 febbraio).
Il licenziamento era legittimo atteso che l'art. 55-septies, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, afferma un principio generale circa la documentazione dell'assenza per malattia, che deve avvenire in via esclusiva mediante certificato medico proveniente da struttura pubblica.
Il comma 4 stabilisce che l'inosservanza degli obblighi di trasmissione per via telematica della certificazione medica costituisce illecito disciplinare e non distingue tra finalità retributive e altre finalità afferenti altri aspetti del rapporto lavorativo
Anche se teoricamente è ipotizzabile la trasmissione dei certificati medici con altro sistema, nella specie i certificati erano mancati del tutto, a differenza di quelli trasmessi dal lavoratore in precedenza e successivamente al periodo di assenza in esame.
Vi era proporzionalità tra la condotta contestata e la sanzione in ragione della previsione legale, nonché di quella contrattuale che non limita detta sanzione ai fatti dolosi.
Come già affermato dal Tribunale, comunque, nella specie la condotta non era scusabile, tenuto conto che il lavoratore non aveva ottemperato ai numerosi inviti a produrre i certificati. Non vi erano elementi oggettivi fondanti la presunta incapacità temporanea di sottoporsi a visita medica. di talchè la condotta era da qualificare come grave e giustificato motivo di licenziamento.
Vi era prova documentale della pubblicazione del codice disciplinare sul sito internet dell'Amministrazione.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando otto motivi di ricorso, assistiti da memoria.
Resiste con controricorso l'Amministrazione.
Anche se teoricamente è ipotizzabile la trasmissione dei certificati medici con altro sistema, nella specie i certificati erano mancati del tutto, a differenza di quelli trasmessi dal lavoratore in precedenza e successivamente al periodo di assenza in esame.
Vi era proporzionalità tra la condotta contestata e la sanzione in ragione della previsione legale, nonché di quella contrattuale che non limita detta sanzione ai fatti dolosi.
Come già affermato dal Tribunale, comunque, nella specie la condotta non era scusabile, tenuto conto che il lavoratore non aveva ottemperato ai numerosi inviti a produrre i certificati. Non vi erano elementi oggettivi fondanti la presunta incapacità temporanea di sottoporsi a visita medica. di talchè la condotta era da qualificare come grave e giustificato motivo di licenziamento.
Vi era prova documentale della pubblicazione del codice disciplinare sul sito internet dell'Amministrazione.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando otto motivi di ricorso, assistiti da memoria.
Resiste con controricorso l'Amministrazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 55-bis del d.lgs. n. 165 del 2001. dell'art. 6 del d.P.R. n. 68 del 2005, degli arti. 45, 47 e 48 della legge n. 3 del 2003, dell'art. 45 del d.lgs. n. 82 del 2005, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
La censura contesta la ritenuta tempestività dell'avvio del procedimento disciplinare.
Va premesso che nel corpo del motivo vengono riferiti alla legge 16 gennaio 2003,n. 3. gli artt. 45, 47 e 48, riportandone tuttavia un contenuto che si rinviene negli artt. 45(valore giuridico della trasmissione), 47 (trasmissione dei documenti tra le pubbliche amministrazioni) e 48 (posta elettronica certificata) del d.lgs. n. 82 del 2005. mentre il capo IX della legge n. 3 del 2003 in cui sono contenuti gli artt. da 42 a 53 reca disposizioni in materia di tutela della salute.
Assume il ricorrente, richiamando gli atti allegati al ricorso nel fascicoletto predisposto ex art. 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. (in particolare notizia trasmessa all' LTD e contestazione), che, poiché era pacifico che la segnalazione del 26 ottobre 2013 era stata trasmessa via PEC in pari data all'UPD, dalla data del 26 ottobre medesimo decorreva il termine per l'avvio del procedimento disciplinare, non rilevando la protocollazione della PEC il 29 ottobre. A sostegno della propria censura, tra l'altro il ricorrente richiama e illustra la suddetta disciplina.
Il motivo è inammissibile, in quanto privo di rilevanza.
Ai sensi dell'art. 55-bis del d.lgs. 165 del 2001 "Il termine per la contestazione dell'addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3 ovvero dalla data nella quale l'ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell'infrazione, mentre la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora".
Dunque, il legislatore ha previsto due distinte fattispecie per fissare la decorrenza del termine per effettuare la contestazione: da un lato, la comunicazione da parte del responsabile della struttura, dall'altra l'acquisizione altrimenti della notizia di infrazione.
Come questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass.21193 del 2018, n. 7134 del 2017), ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall'acquisizione della notizia dell'infrazione (ex art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001), in conformità con il principio del giusto procedimento, come inteso dalla Corte cost. (sentenza n. 310 del 5 novembre 2010), assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell'ufficio 1-\ competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una -notizia di infrazione" di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l'avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell'addebito, dell'istruttoria e dell'adozione della sanzione; ciò vale anche nell'ipotesi in cui il procedimento predetto abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti sui quali è in corso un procedimento penale, per cui sarebbe ammessa la sospensione del primo, e che, comunque, ai fini disciplinari, vanno valutati in modo autonomo e possono portare anche al licenziamento del dipendente.
La sentenza di appello nel considerare la condotta (si v., punto 5 e punto 5.1., a pagg. 6 e 7 della sentenza di appello) ha preso in considerazione non solo l'assenza non giustificata nell'immediatezza in sè, ma anche i reiterati inviti a produrre documenti attestanti l'impedimento affermato dal lavoratore, e in coerenza con l'affermazione della conoscenza da parte dell'UPD del fatto, nei suoi due aspetti assenza e ingiustificatezza, ha dato rilievo, ai fini della tempestività della contestazione, alla data del 29 ottobre in cui avveniva la protocollazione, atteso che a tale data era consentita un'altra chance al lavoratore poichè, se nel frattempo fossero intervenuti documenti giustificativi
l'Amministrazione avrebbe potuto valutarli.
La censura del ricorrente non considera, quindi, la motivazione della sentenza di appello quanto al rilievo attribuito non solo alla mancanza di giustificazione dell'assenza al momento del suo verificarsi, ma anche in seguito, argomento in ragione del quale la decorrenza del termine per la contestazione è stata riferita al 29 ottobre, non in ragione della mera protocollazione, ma avendo riguardo all'acquisizione della notizia di infrazione in tali duplici elementi, tanto che nella sentenza di appello tale data non viene contrapposta a quella dell'invio che vi sarebbe stato a mezzo PEC, a cui fa riferimento il ricorrente con il motivo.
Va, inoltre, rilevato che non è trascritta, né ve ne è espressa menzione. la ricevuta di consegna dell'invio dalla Casa circondariale di Vicenza della notizia d'infrazione alla PEC del destinatario UPD o riferibile allo stesso, né l'indirizzo PEC del destinatario è riportato in modo espresso nel ricorso e nella comunicazione del 26 ottobre 2013 richiamata nel ricorso e allegata allo stesso (doc. II).
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost.. sul "giusto processo -. dell'art. 6 della CEDU, degli artt. 210, 213, 421 e 437. cod. proc. civ., e degli artt. 2697 e 2724, cod. civ., ai sensi dell'art. 360. n. 3, cod. proc. civ.
Il lavoratore, nel richiamare la giurisprudenza di legittimità in relazione alle norme invocate, censura il rigetto delle istanze istruttorie: prova orale sullo stato continuativo della malattia, CTU che non aveva carattere esplorativo in quanto vi era un principio di prova nella relazione CTP, richiesta esibizione certificati medici.
Deduce che il giudice di appello, pertanto, non avrebbe effettuato il controllo sulla legittimità del licenziamento, atteso in particolare i poteri officiosi del giudice nel processo del lavoro e la circostanza che nel processo erano già stati acquisiti numerosi elementi istruttorii sulle condizioni di salute del lavoratore. Inoltre, gravava sul datore di lavoro l'onere della prova della sussistenza del motivo di licenziamento.
Con il terzo motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione dell'art. 132, cod. proc. civ., comma 2, n. 4, e dell'art. 111 Cost., in relazione all'art. 360, n. 3. cod. proc. civ.
Il ricorrente censura la sentenza perché non ha chiarito le ragioni per cui non è stata ammessa la CTU e non è stata accolta la richiesta di deposito di tutti i certificati medici attestanti il grave e perdurante stato depressivo del ricorrente.
Con il quarto motivo di ricorso è prospettata la violazione degli artt. 7 e 18 della legge n. 300 del 1970, e del principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare, falsa applicazione dell'art. 55- quater del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché erronea e falsa applicazione dell'art. 55-septies, del d.lgs. n. 165 del 2001, ai sensi dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Assume il ricorrente che, mentre il licenziamento era stato irrogato in ragione dell'art. 55-quater. la Corte d'Appello ha ritenuto legittimo il licenziamento in ragione dell'art. 55-septies del d.lgs. n. 165 del 2001.
L'Amministrazione contestava al ricorrente di non avere preavvisato dell'assenzae di non aver fornito valida giustificazione, invece la Corte d'Appello, preso atto della telefonata anticipatoria effettuata dal Danna con riguardo al proprio stato di salute, aveva giustificato il licenziamento con la mancata produzione dei certificati medici relativi ai quattro giorni di assenza ai sensi dell'art. 55-septies, posto che solo l'invio telematico degli stessi avrebbe potuto impedire il licenziamento.
Dunque. la Corte d'Appello aveva violato il principio di immutabilità della contestazione e non aveva considerato la sussistenza di una giustificazione dell'assenza risultante dalla relazione medica agli atti e dai certificati medici anteriori e successivi all'assenza.
Con il quinto motivo di ricorso il lavoratore prospetta la violazione e falsa applicazione degli arti. 23 e 24 del CCNL 16 maggio 1995, e dell'art. 13 del CCNL 12 giugno 2003 Comparto Ministeri, nonché degli artt. 54, 55, 55-bis, ter. quater, e seguenti del d.lgs. n. 165 del 2001, dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970, e degli artt. 2119 e 2106, cod. civ., ai sensi dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Il lavoratore critica la sentenza di appello per aver ritenuto la proporzionalità della sanzione in maniera contraddittoria e ingiusta. Ciò, in quanto le argomentazioni stringate non consentirebbero di seguire il ragionamento logico-giuridico sotteso all'affermazione della proporzionalità della sanzione irrogata.
Da un lato, la sentenza afferma la necessità, per giustificare l'assenza, della certificazione medica, dall'altro sembra imputare al lavoratore di non essersi procurato un certificato che attestasse retroattivamente e quindi falsamente la malattia.
Invero, il licenziamento veniva irrogato ex art. 24 del CCNL Ministeri che non prevede la sanzione del licenziamento per l'ipotesi contestata al lavoratore, rinviando per la tipizzazione all'art. 23 del CCNL 16 maggio 1995 e all'art. 13 del CCNL del 12 giugno 2003.
Non sussisteva, nella specie, l'ipotesi di assenza senza valida giustificazione, mentre la giustificazione nella specie era stata offerta con i certificati di malattia. Le condizioni di salute dello stesso emergevano da vari dati (nota 30 ottobre 2013 da cui risultava che lo stesso aveva comunicato che non era in grado di muoversi e non poteva presentarsi, relazione dott.ssa Strocchi su stato confusionale).
Il licenziamento era stato irrogato in base a norma contrattuale che non lo prevedeva.
Non vi era stata intenzionalità, ed inoltre l'inadempimento era di scarsa gravità, circostanza che assumeva rilievo nel giudizio di proporzionalità.
I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.
Gli stessi non sono fondati.
Occorre premettere che come si rileva anche dalla contestazione che è richiamata dal lavoratore ed è allegata al ricorso (doc. IV) allo stesso venivano contestate le infrazioni di cui: 1. All'art. 13, comma 2, lett. a), del CCNL del 12 giugno 2003, come mod. dal CCNL del 14 settembre 2007 "inosservanza delle disposizioni di servizio, anche in tema di assenza per malattia, nonché dell'orario di lavoro". Infrazione per cui si indicava prevista la sanzione disciplinare dal minimo rimprovero verbale o scritto al massimo della multa di quattro ore di retribuzione. 2. All'art. 55-quater, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 165 del 2001, introdotto dall'art. 69 del d.lgs. n. 150 del 2009 "assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nel biennio ...". Infrazione per cui si indicava prevista la sanzione disciplinare del licenziamento con preavviso.
Come la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare, il legislatore del 2009, con l'art. 55-quater, del d.lgs. n. 165 del 2001, fermi gli istituti più generali del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, ha introdotto e tipizzato alcune ipotesi di infrazione particolarmente gravi e, come tali, ritenute idonee a fondare un licenziamento. Tra queste è prevista l'ipotesi dell'assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiori a tre nell'arco di un biennio.
La disposizione ha introdotto una tipizzazione di fattispecie di illeciti disciplinari per i quali è prevista l'applicazione del licenziamento. Nella specie, l'Amministrazione ha irrogato il licenziamento con preavviso.
A fronte di una fattispecie legale, si pone, quindi, il problema di verificare i principi che il giudice deve applicare nel valutare la legittimità della sanzione irrogata dall'Amministrazione, una volta accertato che il lavoratore abbia commesso una delle mancanze previste dalla norma, e pertanto se il licenziamento sia una conseguenza automatica e necessaria, ovvero se l'Amministrazione conservi il potere-dovere di valutare l'effettiva portata dell'illecito, tenendo conto di tutte le circostanze del caso
concreto e, quindi. di graduare la sanzione da irrogare, potendo ricorrere a quella espulsiva solamente nell'ipotesi in cui il fatto presenti caratteri propri del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento.
Sul punto si è affermato (Cass., n. 18326 del 2016) con statuizione alla quale si intende dare continuità che la disposizione normativa cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell'elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a -scriminante" della condotta tenuta dal lavoratore tali da configurare una situazione di
inesigibilità della prestazione lavorativa.
In particolare, con riguardo all'assenza non giustificata, la tipizzazione ex ante effettuata dal legislatore onera il lavoratore di dedurre e fornire elementi che consentano (in primis all'Amministrazione e, successivamente ed eventualmente, al giudice) di valutare la ricorrenza di circostanze tali da impedire lo svolgimento dell'attività lavorativa, in tal senso comprendendo sia l'adempimento della prestazione principale sia tutto il corredo degli obblighi strumentali di correttezza e diligenza, e tali, quindi, da giustificare la condotta tenuta dal lavoratore seppur coincidente con la tipizzazione(oggettiva) effettuata dal legislatore.
Ancora occorre però chiarire come, qualora l'assenza, come nel caso in esame, sia dovuta a malattia, la stessa deve essere giustificata, atteso che rispetto all'ordinaria modalità di giustificazione, il giudice dovrà valutare la sussistenza di elementi scriminanti.
In proposito la giurisprudenza di legittimità (Cass., n. 18858 del 2016. n. 10086 del 2018) ha statuito che l'art. 55-septies del d.lgs. n. 165 del 2001, introdotto dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, al comma 1, ha sancito che «nell'ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare l'assenza viene giustificata esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale».
Dunque, il legislatore ha inteso porre a carico del lavoratore l'obbligo di attivarsi nei suddetti sensi, atteso che, come previsto dall'art. 55-quater, comma 1, lettera b), è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso in presenza di «assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall'amministrazione».
Parallelamente all'obbligo che grava sul lavoratore di rivolgersi ad una struttura sanitaria pubblica o ad un medico convenzionato, potendo solo la certificazione rilasciata dagli stessi giustificare l'assenza per malattia, il legislatore (art. 55-septies, comma 2) ha stabilito che quest' ultimi provvedano ad inviare la certificazione per via telematica ali' INPS che, a sua volta, la inoltra immediatamente all'Amministrazione interessata.
Dunque, non è sufficiente che il lavoratore informi il datore di lavoro dell'assenza per malattia, come il ricorrente assume aver fatto nella specie con una telefonata, ma il lavoratore deve attivare, rivolgendosi per l'accertamento del proprio stato di salute/malattia ad una struttura sanitaria pubblica o ad un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, il procedimento di cui all'art. 55-septies, commi 1 e 2, che si conclude con l'inoltro (e la ricezione) della certificazione medica al datore di lavoro da parte dell'INPS.
Ed è alla mancanza di tale certificazione, che conforti la ragione della malattia quale causa dell'assenza, che l'art. 55-quater, comma 1, lettera b), riconduce il licenziamento senza preavviso.
Ferma la tipizzazione della sanzione disciplinare, il licenziamento, una volta che risulti provata la condotta, permane ;sotto il profilo dell'irrogazione con o senza preavviso i la necessità della verifica del giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione che si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto ed a tutte le circostanze del caso.
Alla luce dei principi sopra richiamati vanno esaminate le censure prospettate.
La Corte d'Appello ne ha fatto corretta applicazione.
Il giudice di secondo grado non ha dato luogo ad un mutamento della contestazione, e nel rispetto del riparto dell'onere della prova, ha ritenuto provata la condotta contestata oggetto anche della infrazione relativa alla violazione dell'art. 55, quater. comma 1, lettera b). Risultava provata l'assenza nei giorni dal 22 al 25 ottobre 2013, addotta a ragione di malattia, e la mancanza della relativa certificazione medica giustificativa ai sensi dell'art. 55-septies. documentazione quest'ultima la cui sussistenza era onere del lavoratore allegare e provare, e la cui funzione non poteva essere soddisfatta dalla telefonata effettuata dal lavoratore il 16 ottobre, meramente predittiva di future assenze.
Tuttavia, come si è detto, il giudice deve valutare se vi sono circostanze che possono assumere rilievo come scriminanti, quali nella specie, secondo la prospettazione del lavoratore la propria complessiva situazione di salute comprovata dalla relazione psicologica CTP dott.ssa Strocchi e dalle certificazioni mediche che sarebbero intervenute prima e dopo, elementi che, peraltro, avrebbero dovuto indurre il giudice di merito ad ammettere la prova richiesta e CTU.
Tale valutazione, tuttavia, è stata effettuata dalla Corte d'Appello che ha affermato che la CTP recepiva le dichiarazioni del lavoratore alla consulente, la quale dopo il colloquio concludeva per la convinzione della involontarietà dell'assenza ma a causa di stato confusionale in cui era caduto e che quando il lavoratore avesse ottenuto il trasferimento, avrebbe potuto svolgere in modo ancora più ottimale l'attività e guarire dalla depressione.
Tali conclusioni erano soggettive, disancorate da dati oggettivi, fondate sulle mere dichiarazioni del periziato, su presunzioni non univoche e reversibili tali da non poter dare spazio alla CTU che era esplorativa.
Dunque, ha affermato la Corte d'Appello, che dà atto della giustificazione con certificazione medica delle assenze verificatesi prima e dopo il periodo in contestazione, non vi erano motivi oggettivi fondanti la presunta incapacità temporanea di sottoporsi a visita medica al verificarsi dello stato di malattia, né il lavoratore aveva dato corso ai diversi inviti rivoltigli a produrre documentazione attestante l'impedimento.
Di talchè, inoltre, nessuna contraddittorietà può ravvisarsi nella sentenza che ha rilevato da un lato la mancata prova della sussistenza di uno stato confusionale che avrebbe impedito nell'immediatezza di giustificare l'assenza come previsto dall'art. 55- septies, dall'altro anche successivamente la mancata produzione di documentazione volta a comprovare la legittimità dell'assenza senza giustificazione.
L'Amministrazione irrogava il licenziamento con preavviso e tale sanzione ha superato il vaglio di proporzionalità in ragione di specifica argomentata valutazione effettuata dalla Corte d'Appello, in ragione dei principi sopra richiamati, che ha tenuto conto della complessiva vicenda in cui si inseriva il licenziamento disciplinare e delle risultanze istruttorie.
Con il sesto motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione dell'art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001, omesso esame di un fatto decisivo. Mancata affissione del codice disciplinare ai sensi dell'art. 360. n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.
La sentenza è censurata anche con riguardo alla pronuncia di conferma dell'infondatezza dell'eccezione di mancata affissione del codice disciplinare.
Ed infatti l'Amministrazione convenuta non aveva dimostrato di aver pubblicato il codice disciplinare, come peraltro risultava da una nota del Ministero, mentre la mera pubblicazione sul sito intranet non era stata dimostrata
Il motivo è inammissibile.
L'art. 55, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, che trova applicazione ralione lemporis, ha previsto che le pubbliche amministrazioni provvedano alla pubblicazione sul sito istituzionale del codice disciplinare recante le procedure per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari, nonché l'indicazione delle infrazioni e delle sanzioni, specificando che tale pubblicazione equivale a tutti gli effetti all'affissione del predetto codice all'ingresso della sede di lavoro.
La Corte d'Appello, con accertamento di fatto, ha affermato che la doglianza sulla omessa pubblicità del codice disciplinare era contraria a prova documentale (pubblicazione sul sito internet istituzionale sin dal 2009).
La censura quindi, pur rubricata anche violazione di legge, si sostanzia, nella richiesta di una rivalutazione delle risultanze istruttorie, inammissibile in sede di legittimità, atteso anche che, con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, le Sezioni Unite hanno chiarito che la riformulazione dell'art. 360 cpc, comma I. n. 5, disposta dal d.l. n. 83 del 2012, art. 54 convertito dalla legge n. 134 del 2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al -minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel -contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella -motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile -, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
- sufficienza' . della motivazione.
Con il settimo motivo di ricorso è dedotto il vizio di omesso esame di un motivo di reclamo sub n. 7 dello stesso. Nullità della sentenza ai sensi dell'art. 112 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360, n. 4, cod. proc. civ.
Con l'ottavo motivo di ricorso, si prospetta la violazione e falsa applicazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, cod. pen., dell'art. 111 Cost., dell'art. 2 della legge n. 604 del 1966, dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990, nonché degli artt. 2104, 1175 e 1375 cod. civ., in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Assume il ricorrente che da quanto prospettato nel precedente paragrafo del ricorso (dedicato all'illustrazione del settimo motivo), risultava evidente la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ.
I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.
I motivi sono inammissibili, atteso che il ricorrente nel dedurre il vizio di omesso esame di uno dei motivi dedotti in sede di reclamo, ha l'onere di specificare nel ricorso non solo il tenore dello stesso, ma anche la statuizione rispetto alla quale veniva proposto e l'iniziale prospettazione effettuata con il ricorso introduttivo, né a ciò può ovviare questa Corte atteso che, anche qualora si invochi l'art. 360, n. 4, cod. proc. civ., le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, hanno precisato che, in ogni caso, la proposizione del motivo di censura resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l'onere di rispettare il principio di
autosufficienza del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso (in conformità alle prescrizioni dettate dall'art. 366, co. 1, n. 6 e 369, co. 2, n. 4, cod. proc. civ.), sicché l'esame diretto degli atti che la Corte è chiamato a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato.
La Corte rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi del dPR n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.