E' nullo Il licenziamento intimato prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione Collettiva... Cass Civile Sent. Sez. L Num. 23674 Anno 2022
SENTENZA
sul ricorso 15633-2019 proposto da: Omissis, elettivamente domiciliata Roma, al Viale Gorizia n. 14 (studio legale Sinagra-Sabatini-Sanci), rappresentata e difesa dall'Avv. FRANCO SABATINI;
- ricorrente
-contro AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 721/2018 della Corte d'appello di L'Aquila depositata il 15 novembre 2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/06/2022 dal Consigliere IRENE TRICOMI;
udito il P.M. in udienza, in persona del Sostituto Procuratore Generale Roberto Mucci che ha concluso per l'accoglimento del ricorso; letti gli atti del procedimento in epigrafe.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d'Appello di L'Aquila ha accolto l'appello principale proposto dall'Agenzia delle entrate nei confronti di Omissis e ha respinto l'appello incidentale, rigettando la domanda introduttiva del giudizio proposta dalla lavoratrice.
2. Il Tribunale di Sulmona aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento irrogato alla Omissis per superamento del periodo di comporto in quanto, pur ritenendo corretto il computo delle assenze per malattia totalizzato dalla lavoratrice nel triennio e preso a riferimento dal contratto collettivo di settore, ha tuttavia considerato provato che la Omissis avesse chiesto le ferie per evitare la perdita del posto di lavoro, ferie negate dall'Amministrazione senza giustificazione alcuna.
3. La Corte d'Appello, nel riformare la sentenza di primo grado, rilevava che la ricostruzione degli eventi portava ad escludere che vi fosse stata una volontà dell'interessata di richiedere le ferie prima della consumazione del periodo di comporto. Dichiarava assorbito il motivo del ricorso incidentale con cui la lavoratrice deduceva che non era sufficiente che il periodo di comporto si fosse consumato, ma che occorreva che lo stesso fosse superato, ragione per la quale il licenziamento, in quanto irrogato il 22 marzo 2016, ultimo giorno del periodo di comporto, era da considerarsi illegittimo
4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la Omissis prospettando due motivi di ricorso, assistiti da memoria.5. Resiste l'Amministrazione con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2110 cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).La ricorrente censura la sentenza di appello in quanto, nel ritenere legittimo il licenziamento, non aveva tenuto conto che il recesso era stato intimato l'ultimo giorno del comporto, come già dedotto nell'appello incidentale.2. Il motivo è fondato e va accolto.
Occorre premettere che la Corte d'Appello ha affermato che "alla data del 22/3, giorno nel quale veniva intimato il licenziamento, la Omissis aveva totalizzato esattamente 548 giorni di assenza (512+11 - dal 16/2 al 26/2 - +15 dal 27/2 al 12/3 - + 10- dal 13/3 al 23/3) esaurendo così il periodo di comporto.
È pacifico tra le parti (pag. 4 del controricorso) che l'ultimo giorno del periodo di comporto della ricorrente era il 22 marzo 2016 e che il licenziamento veniva irrogato il 22 marzo 2016 con decorrenza 23 marzo 2016.Trova applicazione il principio già affermato da questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 12568 del 2018, alla cui motivazione si rinvia ai sensi dell'art. 118 delle disp. att. cod. proc. civ.
Le Sezioni Unite con la sentenza n. 12568 del 2018 hanno dato continuità alla giurisprudenza di questa S.C. che considera nullo il licenziamento intimato solo per il protrarsi delle assenze dal lavoro, ma prima ancora che il periodo di comporto risulti scaduto (cfr. Cass. n. 24525/14; Cass. n. 1404/12; Cass. n. 12031/99; Cass. n. 9869/91). Le Sezioni Unite hanno affermato che «Muovendo dall'interpretazione, dell'art. 2110, comma 2, cod. civ., accolta fin dalla summenzionata Cass. S.U. n. 2072/80, va evidenziato che il carattere imperativo della norma, in combinata lettura con l'art. 1418 stesso codice, non consente soluzioni diverse. È noto che dottrina e giurisprudenza definiscono l'imperatività delle norme in rapporto all'esigenza di salvaguardare valori morali o sociali o valori propri d'un dato ordinamento giuridico.
E il valore della tutela della salute è sicuramente prioritario all'interno dell'ordinamento - atteso che l'art. 32 Cost. lo definisce come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività» - così come lo è quello del lavoro (basti pensare, in estrema sintesi, agli artt. 1, comma 1, 4, 35 e ss. Cost.). In questa cornice di riferimento è agevole evidenziare come la salute non possa essere adeguatamente protetta se non all'interno di tempi sicuri entro i quali il lavoratore, ammalatosi o infortunatosi, possa avvalersi delle opportune terapie senza il timore di perdere, nelle more, il proprio posto di lavoro. All'affermazione della nullità del licenziamento in discorso non osta l'avere il vigente testo dell'art. 18 legge n. 300 del 1970 (come novellato ex lege n. 92 del 2012) collocato la violazione dell'art. 2112, comma 2, cod. civ., nel comma 7 anziché nel comma 1 (riservato ad altre ipotesi di nullità previste dalla legge), con conseguente applicazione del regime reintegratorio attenuato anziché pieno».
Pertanto, il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia od infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all'art. 2110, comma 2, cod. civ.3. All'accoglimento del primo motivo di ricorso segue l'assorbimento del secondo motivo, con il quale la ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ssg. cod. civ., in relazione all'art. 2727 cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.), con cui contestava l'interpretazione di alcuni documenti in atti effettuata dalla Corte d'Appello.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'Appello di Roma.Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 giugno 202