Periodo di comporto: è discriminatorio considerare anche le assenze legate alla disabilità. Tribunale di Messina con sentenza n. 1757/2023 pubbl. il 10/10/2023

06.11.2023

FATTO E DIRITTO

1.- Con ricorso depositato il 29 settembre 2020 Omissis adiva questo giudice del lavoro e, premesso di essere dipendente dell'Università degli Studi di Messina, Area amministrativa, dall'agosto 2002, dapprima in forza di molteplici contratti a termine e dal 1 luglio 2008 in virtù di un contratto a tempo pieno e indeterminato, deduceva di aver svolto la propria attività lavorativa presso l'ufficio ragioneria fino alla prima metà del 2014, ma di essere affetta da retinite pigmentosa ingravescente all'occhio destro e di aver subito a partire dal giugno di tale anno un progressivo aggravamento delle proprie condizioni di salute, con nuova diagnosi di "cheratite da acanthamoeba" all'occhio sinistro, che rendeva necessari diversi ricoveri ospedalieri urgenti - il primo nel gennaio 2015 presso il centro cornea del San Raffaele di Milano - e due interventi in emergenza – di "cheratoplastica perforante terapeutica con trapianto corneale" eseguito in data 17 marzo 2015 presso il San Raffaele di Milano, con esito però negativo e conseguente rigetto con ascesso nel 2017, e successivo intervento per "cataratta complex e sinechie (aderenze dell'iride)" nel luglio dello stesso anno -, cui facevano seguito pesanti terapie parzialmente invalidanti; rilevava, altresì, di essere stata riconosciuta nel luglio 2017 soggetto portare di handicap in situazione di gravità ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge n. 104/1992 dalla Commissione Medica per l'accertamento dell'handicap di Messina, con invalidità non più rivedibile pari all'80% a decorrere dal 31 luglio 2018, e di essere iscritta all'Unione Italiana ciechi dal 2019. Lamentava che nonostante le lunghe assenze dal lavoro fossero strettamente correlate alle malattie invalidanti e alle gravose terapie di supporto, l'Università a far data dal maggio 2019 (e dunque al superamento dei 9 mesi di malattia) aveva iniziato ad operare nei propri confronti una riduzione stipendiale del 10% per i primi 3 mesi, del 50% per i successivi 6 mesi, fino alla totale privazione della retribuzione a decorrere dal febbraio 2020.

Chiedeva, pertanto, in via d'urgenza di ordinare alla datrice di lavoro l'immediata corresponsione in proprio favore della retribuzione mensile, dovendosi escludere, ai sensi dell'art. 35, comma 14, del CCNL di comparto, dal computo del periodo di comporto le assenze per malattia connessa alla condizione di disabilità; e, nel merito, di accertare il proprio status di disabilità, con condanna dell'Università all'adozione dei provvedimenti e/o degli accomodamenti atti a consentirle di accedere a proficuo lavoro e alla corresponsione delle retribuzioni non versate dal febbraio 2020 alla data di deposito del ricorso, oltre a quelle corrisposte solo in parte con riduzione dal maggio 2019 al gennaio 2020, nonché al risarcimento del danno non patrimoniale subito, da liquidarsi in via equitativa.

Nella contumacia della convenuta, la domanda cautelare veniva accolta con ordinanza n. 19767 del 4 novembre 2020, non reclamata.

Quindi, costituitasi la resistente e sostituita l'udienza del 3 ottobre 2023 dal deposito telematico di note scritte, ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., la causa viene decisa con adozione fuori udienza della sentenza.

2.- Si premette che, analogamente a quanto previsto per il rapporto di lavoro privato, anche nel pubblico impiego contrattualizzato la malattia come causa di sospensione del rapporto di lavoro trova la sua regolazione nell'art. 2110 c.c., il quale, nell'affermare in via generale il diritto del prestatore alla conservazione del posto di lavoro e del relativo trattamento economico, rinvia per gli aspetti quantitativi e temporali alla legge o al contratto collettivo di riferimento. Quanto al comparto Università viene in rilievo l'art. 35 del c.c.n.l. 2006-2009, il quale prevede che il dipendente non in prova, assente per malattia, ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di 18 mesi (comma 1), con integrale corresponsione del trattamento economico fondamentale di cui all'art. 83 ("stipendio tabellare; posizioni economiche; eventuali assegni "ad personam"; retribuzione individuale di anzianità ove acquisita; equiparazione stipendiale prevista dall'art. 31 del dpr n. 761/79 esclusivamente per la parte utile in quota A del trattamento pensionistico") per i primi 9 mesi, poi ridotto al 90% per i successivi 3 mesi e al 50% per gli ulteriori 6 mesi (comma 8). E che superato tale periodo, al lavoratore che ne faccia richiesta può essere concesso, per casi particolarmente gravi, di assentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi, senza diritto adalcun trattamento retributivo (comma 2).

Precisa poi che "l'assenza per malattia ovvero la sua eventuale prosecuzione deve essere comunicata alla struttura di appartenenza tempestivamente e comunque all'inizio del turno di lavoro del giorno in cui si verifica, salvo comprovato impedimento. Il dipendente, salvo comprovato impedimento, è tenuto a recapitare o spedire a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento il certificato medico attestante lo stato di infermità comportante l'incapacità lavorativa e con l'indicazione della sola prognosi, entro i cinque giorni successivi all'inizio della malattia o alla eventuale prosecuzione della stessa" (comma9).

Il comma 14 dello stesso articolo prevede inoltre, per il caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidati, l'esclusione dal computo dei giorni di assenza per malattia di cui al comma 1, oltre che del giorno di ricovero ospedaliero o di day hospital, "anche quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie" per i quali spetta l'intera retribuzione.

La necessità di tale esclusione è stata sottolineata dalla Corte Costituzionale nella recente pronuncia n. 28/2021, intervenuta nel corso del giudizio e resa con riferimento all'impiego pubblico non contrattualizzato. Con essa, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 68, comma 3, d.P.R. n. 3/1957 nella parte in cui "per il caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti, non esclude dal computo dei consentiti diciotto mesi di assenza per malattia i giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital e quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie", la Corte ha evidenziato il ritardo storico del legislatore rispetto alla contrattazione collettiva e in particolare proprio al "c.c.n.l. del comparto Università …", che, con la sua naturale dinamicità "è stata in grado di tener conto del progressivo sviluppo dei protocolli di cura per le gravi patologie, e in particolare delle cosiddette terapie salvavita con i loro pesanti effetti invalidanti (…) Né può affermarsi - come prospettato dalla difesa dello Stato - che i princìpi di cui agli artt. 9 e 33 Cost., trattandosi, nel caso di specie, di personale docente universitario, impedirebbero una così prolungata assenza dal servizio. È vero, infatti, che i valori protetti da questi articoli sono meritevoli della massima considerazione, ma non possono costituire un ostacolo alla stabilità del rapporto di lavoro".

La giurisprudenza di legittimità, con orientamento ormai consolidato, ha inoltre precisato che se è vero che la nozione di handicap/disabilità non è coincidente con lo stato di malattia, oggetto della regolazione contrattuale collettiva applicata al rapporto ai fini del computo del periodo di comporto rilevante ai sensi dell'art. 2110 c.c., ciò non significa che essa sia contrapposta a tale stato, che può esserne tanto causa quanto effetto, e le cui interazioni devono essere tenute in considerazione nella gestione del rapporto di lavoro. In questo senso, l'applicazione al lavoratore disabile dell'ordinario periodo di malattia rappresenta - anche alla luce della giurisprudenza della

Corte di Giustizia dell'Unione Europea (v. ex multis sentenza del 18 gennaio 2018, causa C 270/16) - una forma di discriminazione indiretta, atteso che egli, rispetto al lavoratore non disabile, "è esposto al rischio ulteriore di assenze dovute a una malattia collegata alla sua disabilità, e quindi soggetto a un maggiore rischio di accumulare giorni di assenza per malattia e di raggiungere i limiti massimi di cui alla normativa pertinente" (cfr. da ultimo Cass. n. 9095/2023).

Ciò posto, nel caso di specie dalla documentazione in atti risulta che già con certificato rilasciato dall'Azienda Sanitaria Provinciale di Messina in data 23 aprile 2015 - pacificamente trasmesso alla datrice di lavoro - era stato accertato che la ricorrente, seguita dall'A.S.P. a far data dal 16 aprile 2014, si fosse sottoposta a "cheratoplastica perforante terapeutica" all'occhio sinistro a causa di "infezione d'Azantamoeba", grave patologia richiedente "terapie parzialmente invalidanti e ulteriori interventi chirurgici".

Il necessario ricorso a tali terapie è stato confermato dai successivi certificati medici rilasciati dalla stessa Azienda e regolarmente trasmessi all'Università a far data dal 7 febbraio 2015. Con i verbali INPS del 25 luglio 2017 e del 31 luglio 2018, inoltre, la FV è stata riconosciuta invalida civile con riduzione permanente della capacità lavorativa in misura pari all'80% a decorrere dal 31 luglio 2018, nonché ipovedente medio grave ai sensi dell'art. 5 l. n. 138/2001 ("1. Ai fini della presente legge, si definiscono ipovedenti medio-gravi: a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 50 per cento").

Ne deriva che le assenze per malattia cumulate dalla ricorrente non sono computabili quali giorni di malattia ai fini del calcolo del periodo di comporto, in quanto tutte connesse alla grave patologia invalidante e documentate da certificazione medica tempestivamente – e pacificamente - trasmessa alla datrice di lavoro in formato cartaceo.

Dagli atti emerge, invece, che l'Amministrazione a decorrere dal 1 maggio 2019 ha proceduto ad operare nei confronti della AB la riduzione stipendiale del 10% fino al 19 agosto 2019 (per un totale di n. 90 giorni di malattia retribuita al 90%) e del 50% fino al 14 febbraio 2020 (per complessivi n. 180 giorni), fino alla totale privazione della retribuzione per ulteriori n. 255 giorni al 31 ottobre 2020 (cfr. elenco assenze prot. n. 0101815 del 22 ottobre 2020 allegato alla memoria della resistente).

Con le note depositate per l'udienza del 16 marzo 2021 la ricorrente ha dedotto che a seguito della notifica del provvedimento emesso in via cautelare, l'Università ha provveduto alla corresponsione della retribuzione a far data dal mese di dicembre 2020 (cfr. cedolini per i mesi di dicembre 2020, gennaio e febbraio 2021), ma non gli arretrati maturati.

La convenuta va dunque definitivamente condannata a pagare in favore di AB l'intera retribuzione mensile lorda dovuta e non versata per il periodo 14 febbraio – 30 novembre 2020, nonché la differenza sugli emolumenti parzialmente corrisposti a decorrere dal 1 maggio 2019 fino al 14 febbraio 2020, in applicazione dell'art. 35, comma 14, c.c.n.l. di comparto, il tutto oltre interessi legali dal dovuto al soddisfo, senza cumulo con la rivalutazione monetaria in applicazione dell'art. 22, comma 36, legge n. 724/1994.

3.- Ne consegue altresì l'obbligo per l'Università di predisporre i ragionevoli accomodamenti atti a consentire alla lavoratrice la ripresa, in sicurezza, dell'attività lavorativa. L'art. 5 della Direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro dispone, infatti, che "per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l'onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili".

Il d.lgs. n. 216/2003, nel dare attuazione alla citata direttiva, ha stabilito, tra l'altro, all'art. 3 che il principio di parità di trattamento senza distinzione di religione, convinzioni personali, handicap, età, nazionalità e orientamento sessuale "si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale" con specifico riferimento anche all'area "occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento, la salute e la sicurezza, il reintegro professionale e il ricollocamento"

In seguito alla condanna dell'Italia da parte della Corte di Giustizia dell'Unione Europea per l'inadempimento alla citata direttiva (sentenza 4 luglio 2013, C-312/2011, Commissione Europea/Repubblica Italiana), il d.l. n.

76/2013, conv. con modif. dalla l. n. 99/2013, ha poi inserito nel corpo del menzionato art. 3 d.lgs. n. 216/2003, il comma 3 bis, in applicazione del quale "Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della L. 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. I datori di lavoro pubblici devono provvedere all'attuazione del presente comma senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente".

E nella specie, nella visita del 25 luglio 2017 la Commissione Medica per l'accertamento dell'handicap del Centro Medico Legale INPS di Messina ha già riconosciuto la AB soggetto portare di handicap in situazione di gravità ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge n. 104/1992 (sicchè non è necessaria alcuna ulteriore indagine al riguardo) e l'U.O. di Oftalmologia dell'A.S.P. di Messina ha dichiarato nell'aprile 2015 che la stessa, per la ripresa in sicurezza della prestazione lavorativa, necessita di "ambiente lavorativo privo di ostacoli e di polveri per il pericolo d'infezioni e con luce soffusa per la spiccata fotofobia. L'uso del Vdt è limitato a brevissimi periodi di tempo e con pause frequenti" (cfr. all. n. 4 al ricorso).

Mentre la convenuta si è limitata a evidenziare in memoria, quanto alla richiesta di ragionevoli accomodamenti formulata dall'istante, di non aver mai manifestato una volontà in senso contrario, ma di attendere eventuali comunicazioni da parte della dipendente in ordine al suo eventuale rientro in servizio; ha aggiunto di aver richiesto nell'agosto 2020 la visita medica collegiale per la stessa, ai sensi dell'art. 3, comma 3, lett. a) del d.P.R. n. 171/2011, ma non ha prodotto poi il relativo verbale né ha comunicato il suo esito.

4.- Non può, invece, trovare accoglimento la domanda inerente al risarcimento del danno non patrimoniale "per la sofferenza psico-fisica e alla dignità della persona" subito dalla AB, poiché genericamente formulata in ricorso e priva di qualunque riscontro probatorio, trattandosi invece di danno conseguenza, non rinvenibile in re ipsa nell'illegittimo comportamento della P.A. (v. Cass. S.U. n. 26972/2008).

5.- La controvertibilità della questione e il parziale accoglimento della pretesa giustificano la compensazione per 1/3 delle spese di entrambe le fasi del giudizio, che per la restante parte seguono la soccombenza e ai sensi del D.M. n. 55/2014 e s.m.i. si liquidano, tenuto conto del valore e dell'attività svolta, in (1.076 cautelare + 4.918 merito =) 5.994 euro, con distrazione ex

art. 93 c.p.c..

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore istanza disattesa, condanna l'Università degli Studi di Messina:

1) a predisporre i ragionevoli accomodamenti atti a consentire a AB, affetta da handicap grave, la ripresa in sicurezza dell'attività lavorativa;

2) a corrisponderle l'intera retribuzione mensile lorda dovuta e non versata per il periodo 14 febbraio – 30 novembre 2020, nonché la differenza dovuta sugli emolumenti parzialmente corrisposti a decorrere dal 1 maggio 2019 fino al 14 febbraio 2020, il tutto con gli interessi dal dovuto al soddisfo;

3) a rimborsarle due terzi delle spese del giudizio, liquidati in complessivi 5.994 euro, oltre spese generali, iva e cpa, che distrae in favore dei procuratori antistatari in epigrafe indicati; compensa il resto.

Messina, 4.10.2023

Il Giudice del lavoro

Valeria Totaro