
Messaggi Offensivi su WhatsApp... niente licenziamento...
Omissis ha convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, la ex datrice di lavoro Omissis impugnando il licenziamento disciplinare intimatogli dalla convenuta, e chiedendo:
A) Accertare e dichiarare l'illegittimità del licenziamento irrogato al ricorrente per insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore e, per l'effetto, annullare il licenziamento stesso e disporre la reintegra.
B) Accertare e dichiarare l'illegittimità del licenziamento irrogato al ricorrente e, per l'effetto, condannare il datore di lavoro al pagamento di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (pari ad €. 1.623,91), comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità, in relazione all' anzianità di servizio del ricorrente e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti; oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali da ogni singola scadenza all'effettivo pagamento.
Il licenziamento de quo era stato stato intimato all'esito del procedimento disciplinare instaurato con lettera del Omissis, con la quale Omissis ha contestato al dipendente di aver registrato, su una chat di whatsapp denominata "Amici di lavoro" alcuni messaggi vocali, riferiti al superiore gerarchico e ad altri colleghi, con contenuti offensivi, denigratori, minatori e razzisti.
Il ricorrente non contesta di essere l'autore dei messaggi vocali, ma ne deduce l'irrilevanza disciplinare in quanto essi erano stati registrati in una chat privata, le cui comunicazioni erano comprese nell'ambito di tutela dell'art. 15 Cost.
In diritto, la recente giurisprudenza di legittimità (Cass. 10280/2018; Cass. 21965/2018) ha preso in esame la fattispecie di messaggi di contenuto offensivo o diffamatorio diffusi dal dipendente tramite strumenti informatici, distinguendo, in sostanza, tra:
• messaggi diffusi tramite strumenti potenzialmente idonei a raggiungere un numero indeterminato di persone (nella specie, bacheca facebook);
• messaggi inviati tramite strumenti (nella specie, una chat facebook privata) ad accesso limitato, con esclusione della possibilità che le comunicazioni ivi inserite siano conoscibili da soggetto diversi dai partecipanti.
Nel primo caso, Cass. 10280/2018 ha ritenuto la natura diffamatoria (configurante giusta causa di licenziamento;
Nella seconda ipotesi, Cass. 21965/2018 ha invece escluso la sussistenza di giusta causa, rilevando che l'invio di messaggi riservati ai soli ai partecipanti a una chat è logicamente incompatibile con i requisiti propri della condotta diffamatoria, ove anche intesa in senso lato, che presuppone la destinazione delle comunicazioni alla divulgazione nell'ambiente sociale.
Nel caso in esame, i messaggi del ricorrente erano indirizzati a una chat riservata ai soli partecipanti, e pertanto, secondo i condivisibili principi dettati da Cass. 21965/2018, configurano comunicazioni diffuse in un ambiente ad accesso limitato.
Ne consegue, in base ai principi dettati dalla citata Cass. 21965/2018, l'insussistenza del fatto addebitato; infatti, secondo tale orientamento ermeneutico, trattandosi di messaggi vocali indirizzati a un gruppo chiuso, e quindi insuscettibili di diffusione all'esterno, sono equiparabili a corrispondenza privata.
Pertanto
Il Tribunale annulla il licenziamento intimato da Omissis con lettera in data 4.9.2018; condanna Omissis a reintegrare Omissia sul posto di lavoro, e a pagargli un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (pari a € 1.623,91 mensili) dal 4.9.2018 fino al giorno dell'effettiva reintegrazione, in misura comunque non superiore a dodici mensilità, nonché a versare i relativi contributi previdenziali e assistenziali dal 4.9.2018 al giorno dell'effettiva reintegrazione; compensa interamente le spese processuali tra le parti. Firenze, 16 ottobre 2019