L’installazione non autorizzata degli impianti audiovisivi è reato solo se ci sono dipendenti. sentenza n. 46188 del 16.11.2023
1. Con sentenza emessa in data 28 aprile 2022, il Tribunale di Messina ha dichiarato la penale responsabilità di (OMISSIS) per il reato di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 4 e la ha condannata alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda. Secondo quanto ricostruito dal Tribunale, (OMISSIS), in qualità di titolare di un bar, in data (OMISSIS), avrebbe installato un impianto di videosorveglianza senza la preventiva autorizzazione richiesta dalla legge.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale indicata in epigrafe (OMISSIS), con atto sottoscritto dall'avvocato (OMISSIS), articolando tre motivi. 2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento alla L. n. 300 del 1970, articolo 4 avendo riguardo alla ritenuta configurabilita' della fattispecie di reato per la quale e' stata pronunciata condanna.
Si deduce, in particolare, che non sono fornite indicazioni su due elementi centrali della fattispecie, perche' non si da' conto se l'impianto fosse preposto alla registrazione, ne' se l'imputata fosse datrice di lavoro di qualcuno. Si segnala che, anzi, l'impianto e' a circuito chiuso e non implica alcuna registrazione, e che l'azienda non ha dipendenti. Si osserva, inoltre, che non vi sono elementi idonei ad affermare la coscienza e volonta' del fatto illecito e che manca una effettiva valutazione critica della attendibilita' del principale teste di accusa, (OMISSIS).
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia l'eccessività della pena. Si deduce che la stessa e' sproporzionata, avendo riguardo al fatto contestato ed al contesto in cui lo stesso si e' verificato.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia la mancata applicazione della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis c.p.. Si deduce che dovrebbe essere comunque riconosciuta la causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto, per la modestia del danno e per la minima intensita' del dolo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e' fondato in relazione alle censure esposte nel primo motivo, per le ragioni di seguito precisate, con assorbimento delle ulteriori doglianze.
2. Le censure formulate nel primo motivo contestano la ritenuta configurabilita' del reato, deducendo che non e' indicato se l'imputata fosse datrice di lavoro di qualcuno, e che l'impianto era inidoneo ad effettuare registrazioni.
2.1. Per chiarezza, occorre una duplice precisazione di carattere generale. Innanzitutto, va osservato che la presenza di lavoratori nel luogo ripreso dagli impianti di videosorveglianza e' requisito imprescindibile per la configurabilita' del reato in contestazione.
Invero, detto reato, sulla base di quanto previsto dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 101, articolo 15 che costituisce la disposizione incriminatrice, e' integrato dalla violazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 4, comma 1, previsione a sua volta diretta a regolamentare l'uso, da parte del datore di lavoro, degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti "dai quali derivi anche la possibilita' di controllo a distanza dell'attivita' dei lavoratori". Va poi rilevato che, secondo un principio enunciato in giurisprudenza, non e' configurabile la violazione della disciplina di cui alla L. n. 300 del 1970, articoli 4 e 38 - tuttora penalmente sanzionata in forza del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 171 come modificato dalla L. n. 101 del 2018 - quando l'impianto audiovisivo o di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull'ordinario svolgimento dell'attivita' lavorativa dei dipendenti o resti necessariamente "riservato" per consentire l'accertamento di gravi condotte illecite degli stessi (cosi' Sez. 3, n. 3255 del 14/12/2020, dep. 2021, Wang Yong Kang, Rv. 280542-01).
2.2. La sentenza impugnata si presenta lacunosa sotto entrambi i profili. La decisione del Tribunale di Messina, infatti, si limita a dare atto che, nel bar di cui l'imputata era titolare, erano stati installati un monitor e cinque telecamere, sebbene in difetto di espressa autorizzazione. La pronuncia, pero', non precisa ne' se nell'esercizio commerciale gestito dall'imputata prestassero servizio dei lavoratori subordinati di questa, ne', in ogni caso, se l'impianto di videosorveglianza implicasse un significativo controllo sull'ordinario svolgimento dell'attivita' lavorativa dei dipendenti e non vi fosse la necessita' di mantenerlo "riservato" per consentire l'accertamento di gravi condotte illecite degli stessi.
3. La fondatezza delle censure sopra precisate impone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Il Giudice del rinvio, che si individua nel Tribunale di Messina in diversa persona fisica, a norma di quanto previsto dall'articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera d), valutera' se debba o meno ritenersi sussistente il reato di cui alla L. n. 300 del 1970, articoli 4 e 38 e Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 171 come modificato dalla L. n. 101 del 2018, in particolare verificando se, nel bar gestito dall'imputata, prestassero servizio lavoratori subordinati, e, in caso affermativo, se l'impianto di videosorveglianza ivi posizionato implicasse un significativo controllo sull'ordinario svolgimento dell'attivita' lavorativa dei dipendenti e non vi fosse la necessita' di tenerlo "riservato" per consentire l'accertamento di gravi condotte illecite degli stessi.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Messina, in diversa persona fisica