Infermieri: La pausa è un diritto, anche se manca la richiesta di fruizione del servizio mensa fuori dell'orario di lavoro. Civile Ord. Sez. L Num. 32113 Anno 2022

26.11.2022

RILEVATO CHE:

1. la Corte d'appello di Caltanisetta, a conferma della sentenza del Tribunale di Gela, ha negato in capo a Omississ e ad altri litisconsorti, tutti dipendenti turnisti dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Caltanisetta (in prosieguo ASP), con mansioni di infermieri, il diritto a beneficiare, per il periodo 2001/2010, dei buoni pasto sostitutivi del servizio mensa per ogni turno lavorativo (nelle fasce orarie 07/14, 14/21 e 21/07) eccedente le sei ore, sul presupposto che costoro non avessero mai richiesto la fruizione del servizio mensa al di fuori dell'orario di lavoro - con interruzione del turno per la pausa pranzo e il prolungamento dello stesso per una durata pari all'operata interruzione - e della non monetizzabilità del pasto;

Omissis e gli altri litisconsorti in epigrafe ricorrono per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi; l'ASP di Caltanisetta ha depositato controricorso, nonché memoria illustrativa.

CONSIDERATO CHE:

1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., parte ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del d.lgs. n.66 del 2003, dell'art. 68 comma 2 d.P.R. 384/1990, dell'art. 33 d.P.R. 270/1987"; secondo i ricorrenti, a sensi della citata normativa, il solo superamento delle sei ore lavorative farebbe automaticamente sorgere il diritto alla pausa pranzo e, quindi, al buono pasto indipendentemente dalle concrete modalità di svolgimento del turno di lavoro e anche in mancanza di una specifica domanda del lavoratore a fruire della pausa pranzo/cena;

2. con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 1218 cod. civ. e ss., in relazione all'art. 360, comma 1 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ.: la Corte di merito avrebbe erroneamente negato il bene della vita domandato, atteso che i ricorrenti non avevano formulato una richiesta di monetizzazione dei buoni pasto ma avevano inteso chiedere la condanna, ex art. 1218 e ss. cod. civ., per inadempimento dell'ASP di Caltanissetta ;

3. con il terzo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 91 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360 n. 4 cod. proc. civ.: la Corte distrettuale avrebbe dovuto compensare le spese processuali alla luce del comportamento stragiudiziale dell'Azienda sanitaria rimasta inattiva in sede di istanza di conciliazione presso la Direzione del lavoro di Caltanissetta e a seguito della diffida dei lavoratori;

4. i primi due motivi, che per l'intima connessione meritano trattazione congiunta, sono fondati;

questa Corte si è già pronunciata in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile, confermando in quell'occasione la decisione di merito che, ai fini del riconoscimento del buono pasto a un dipendente adibito a turni orari 13/20 e 20/07, aveva considerato coessenziale alle "particolari condizioni di lavoro" di cui all'art. 29 del contratto collettivo del comparto Sanità del 20 settembre 2001, integrativo del c.c.n.l. del 7.4.1999, il diritto a usufruire della pausa di lavoro, a prescindere dal fatto che la stessa avvenisse in fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto o in fasce per le quali il pasto potesse essere consumato prima dell'inizio del turno;

con tale principio si è affermato che «In tema di pubblico impiego privatizzato, l'attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell'ambito dell'organizzazione dell'ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l'attività lavorativa quando l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all'effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato» (Cass. n. 5547 del 2021; v. altresì Cass. n. 15629 del 2021);

ciò perché il diritto alla mensa ex articolo 29, comma 2, c.c.n.l. integrativo sanità del 20 settembre 2001 è (invero) collegato al diritto alla pausa, di qui il rilievo del d.lgs. 8 aprile 2003 nr. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro), articolo 8, a tenore del quale il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto;

le modalità e la durata della pausa sono, poi, stabilite dai contratti collettivi di lavoro e, in difetto di disciplina collettiva, la durata non è inferiore a dieci minuti e la collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo;

la sentenza impugnata, attribuendo rilevanza alla circostanza che i lavoratori non avessero mai richiesto la fruizione del servizio mensa fuori dell'orario di lavoro, si è discostata dai principi suesposti, sicché deve essere annullata;

accertato, quindi, il diritto alla fruizione dei buoni pasto per ogni turno lavorativo eccedente le sei ore, e tenuto conto che il pasto non è monetizzabile ai sensi della disciplina vigente, dovrà il giudice del rinvio, nell'ambito dei suoi poteri di qualificazione della domanda proposta dai lavoratori, valutare se attribuire, in presenza dei presupposti di legge, il bene della vita invocato, se del caso a titolo di risarcimento del danno;

5. in definitiva, il primo e il secondo motivo di ricorso devono essere accolti, restando conseguentemente assorbito il terzo motivo avente ad oggetto la regolamentazione delle spese di lite; la sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla Corte d'appello di Palermo cui si demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Palermo, cui demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso nella Adunanza camerale del 19 ottobre 2022