
Incostituzionale la norma che obbliga il dipendete responsabile a risarcire il danno di immagine – contro l’assenteismo. C.Costituzionale Sentenza n. 61 Anno 2020
Il giudice a quo riferisce che la Procura regionale aveva convenuto in giudizio la sig.ra C. S. per
sentirla condannare al pagamento di euro 20.064,81 in quanto, in qualità di pubblica dipendente, aveva falsamente attestato la propria presenza in servizio in quattro giornate tra le ore 17:00 e le ore 18:00.
Più specificamente, la Procura regionale aveva contestato alla convenuta un danno patrimoniale pari a 64,81 euro, derivante dalla percezione indebita della retribuzione nei periodi per i quali era mancata la prestazione lavorativa.
Aveva chiesto inoltre la condanna al pagamento del danno all'immagine da determinarsi in via equitativa, per un importo ritenuto congruo e pari a 20.000,00 euro, tanto ai sensi dell'art. 55-quater, comma 3-quater, del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dal d.lgs. n. 116 del 2016, in attuazione dell'art. 17, comma 1, lettera s), della legge n. 124 del 2015.
Il Collegio, con sentenza non definitiva, ha ritenuto fondata l'azione risarcitoria promossa nei confronti della convenuta, condannandola al risarcimento del danno patrimoniale da percezione indebita della retribuzione in mancanza di prestazione lavorativa e, limitatamente all'an debeatur, anche a risarcire il pregiudizio recato all'immagine della pubblica amministrazione di appartenenza.
Il giudice rimettente rammenta che gli artt. 55-quater e 55-quinquies del d.lgs. n. 165 del 2001 prevedono, inoltre, che la Procura regionale della Corte dei conti debba perseguire i responsabili richiedendo la condanna al risarcimento sia del «danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione», che del danno all'immagine, la cui liquidazione è rimessa alla «valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione [fermo restando che] l'eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia».
Osserva che i dipendenti pubblici tenuti al rispetto di un orario di lavoro, in quanto la prestazione può essere svolta solo presso l'ufficio pubblico, sono obbligati a prestarla secondo le modalità, le forme e i tempi stabiliti dal datore di lavoro pubblico, avendo l'utenza un vero e proprio diritto pubblico soggettivo all'esercizio del potere e al disbrigo delle pratiche di ufficio per tutto il periodo di apertura della struttura.
La convenuta, invece, in violazione delle predette regole di condotta e degli obblighi di presenza in servizio, aveva modificato l'orario di uscita, anticipandolo di un'ora rispetto a quello da lei dichiarato e attestato, disvelando una predeterminazione intenzionale.
Per tali ragioni, il giudice a quo ha condannato la convenuta al pagamento di euro 64,81, pari alle retribuzioni indebitamente percepite in assenza di prestazione lavorativa
Quanto al danno all'immagine, il Collegio ha ritenuto sussistenti nella fattispecie tutti gli elementi oggettivi, soggettivi e sociali della posta risarcitoria avendo avuto la vicenda risonanza nella stampa locale allegata agli atti del giudizio.
Tuttavia, il giudice a quo ritiene che la quantificazione del danno all'immagine come introdotta dalla riforma del 2016, renderebbe rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale secondo i seguenti profili.
1.2.- Il giudice a quo ritiene che sia innanzitutto violato l'art. 76 Cost.
Secondo il Collegio rimettente, il decreto delegato non avrebbe potuto incidere sulla disciplina dell'azione di responsabilità amministrativa intestata alla Procura regionale della Corte dei conti, né tanto meno avrebbe potuto porre regole finalizzate a far assumere ai criteri di computo del danno all'immagine una funzione sanzionatoria, comunque non confondibile, sia funzionalmente che strutturalmente, con il procedimento disciplinare che il legislatore delegato aveva posto a oggetto della delega.
Secondo il rimettente la previsione normativa sarebbe manifestamente irragionevole in quanto obbligherebbe il giudice contabile a infliggere una condanna sanzionatoria senza tener conto dell'offensività in concreto della condotta posta in essere.
Obietta, inoltre, che l'obbligatorietà del minimo sanzionatorio («sei mensilità dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia»), in ipotesi di fondatezza della contestazione relativa al danno all'immagine, impedirebbe al Collegio di dare rilevanza ad altre circostanze peculiari e caratterizzanti il caso concreto, imponendo al giudicante un verdetto condannatorio pur in presenza di condotte marginali e tenui che abbiano prodotto un pregiudizio minimo, violando sia il principio di proporzionalità che quello della gradualità sanzionatoria.
L'obbligatorietà del minimo edittale sanzionatorio renderebbe pertanto impossibile ogni adeguamento al caso concreto, precludendo l'operatività del principio di proporzionalità della sanzione che impone l'adeguamento della tipologia e consistenza della misura sanzionatoria al grado, natura e carattere della violazione riscontrata.
Il Collegio rimettente osserva ulteriormente che, stante la fondatezza dell'azione e nonostante la tenuità del fatto e il carattere lieve delle violazioni riscontrate (pochissime ore di falsa attestazione in relazione a quattro giornate non reiterate), dovrebbe applicare il minimo sanzionatorio che, a giudizio del medesimo, apparirebbe eccessivo, sproporzionato e irragionevole.
È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo l'infondatezza delle questioni sollevate poiché Il legislatore delegato sarebbe libero di individuare e tracciare i necessari contenuti attuativi, secondo l'ordinaria sfera della discrezionalità legislativa.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la responsabilità per danno all'immagine, sebbene non si sovrapponga a quella disciplinare, si inserirebbe nella più ampia definizione di responsabilità
amministrativa, di cui costituirebbe una ulteriore declinazione, sostanziandosi nella responsabilità con carattere evidentemente anche sanzionatorio per la grave perdita di prestigio della personalità pubblica e nel pregiudizio arrecato al rapporto di fiducia intercorrente tra cittadini e amministrazione, che affievolisce il desiderio di partecipazione e il sentimento di appartenenza e di affidamento alle istituzioni (è richiamata la sentenza n. 355 del 2010).
Proprio gli interessi lesi, riconducibili al buon andamento della pubblica amministrazione, consentirebbero di ritenerla una forma di responsabilità strettamente connessa a quella disciplinare conseguente alla violazione degli obblighi comportamentali propri del dipendente, considerata la peculiarità del lavoro presso la pubblica amministrazione.
Il danno all'immagine sarebbe, dunque, intrinsecamente correlato alla condotta fraudolenta realizzata dal dipendente pubblico e alle sanzioni disciplinari che da questa derivano in quanto si sostanzierebbe, seppure sotto un diverso aspetto, nel pregiudizio arrecato al medesimo bene giuridico tutelato, ovvero il buon andamento e l'imparzialità che l'apparato pubblico è chiamato ad assicurare ai sensi dell'art. 97 Cost.
Pertanto, la tutela del diritto all'immagine della pubblica amministrazione, introdotta con il d.lgs. n. 116 del 2016, non confliggerebbe, pertanto, con l'art. 76 Cost.
Considerato in diritto
Relativamente alla particolare fattispecie del danno all'immagine prodotto in conseguenza di indebite assenze dal servizio, l'art. 7 (Princìpi e criteri in materia di sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti pubblici) della legge 4 marzo 2009, n. 15 (Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti), stabiliva al comma 1, primo periodo, che l'esercizio della delega nella materia di cui al presente articolo è finalizzato a modificare la disciplina delle sanzioni disciplinari e della responsabilità dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche ai sensi dell'articolo 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e delle norme speciali vigenti in materia, al fine di potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici contrastando i fenomeni di scarsa produttività ed assenteismo.
Il comma 2 di tale disposizione disponeva che, nell'esercizio della delega di cui al citato articolo, il Governo si attenesse ai seguenti princìpi e criteri direttivi: lettera e) prevedere, a carico del dipendente responsabile, l'obbligo del risarcimento del danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché del danno all'immagine subìto dall'amministrazione».
L'ulteriore fattispecie di danno erariale introdotta con l'art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 116 del 2016, enucleata da quella più generale già prevista dall'art. 55-quater, presenta indubbi aspetti peculiari, in ragione del venir meno della cosiddetta pregiudizialità penale - in quanto sono dettate disposizioni che impongono al Procuratore presso la Corte dei conti di agire sollecitamente entro ristrettissimi tempi, senza attendere né l'instaurazione del processo penale né la sentenza che lo definisce - nonché della predeterminazione legislativa di criteri per la determinazione del danno in via equitativa, salva la fissazione di un minimo risarcibile pari a sei mensilità dell'ultimo stipendio percepito dal responsabile.
Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55-quater, comma 3-quater, del d.lgs. n. 165 del 2001, inserito dall'art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 116 del 2016, sollevata in riferimento all'art. 76 Cost., è fondata.
A differenza di quanto avvenuto con la precedente legge n. 15 del 2009, laddove il legislatore aveva espressamente delegato il Governo a prevedere, a carico del dipendente responsabile, l'obbligo del risarcimento sia del danno patrimoniale che del danno all'immagine subìti dall'amministrazione, tanto non si rinviene nella legge di delegazione n. 124 del 2015.
L'art. 17, comma 1, lettera s), di detta legge prevede unicamente l'introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare.
Tale particolare disposizione di delega, come risulta dagli atti preparatori, non era presente nel testo iniziale del disegno di legge (A.S. n. 1577), ma è stata introdotta con emendamento (n. 13.500) del relatore nel corso dell'esame in Senato. Nella discussione parlamentare la questione della responsabilità amministrativa non risulta essere mai stata oggetto di trattazione.
Quindi, la materia delegata è unicamente quella attinente al procedimento disciplinare, senza che possa ritenersi in essa contenuta l'introduzione di nuove fattispecie sostanziali in materia di responsabilità amministrativa.
In proposito, questa Corte ha affermato più volte che, in quanto delega per il riordino, essa concede al legislatore delegato un limitato margine di discrezionalità per l'introduzione di soluzioni innovative, le quali devono comunque attenersi strettamente ai princìpi e ai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante (ex multis, sentenze n. 94, n. 73 e n. 5 del 2014, n. 80 del 2012, n. 293 e n. 230 del 2010).
Non può dunque ritenersi compresa la materia della responsabilità amministrativa e, in particolare, la specifica fattispecie del danno all'immagine arrecato dalle indebite assenze dal servizio dei dipendenti pubblici.
Sebbene le censure del giudice rimettente siano limitate all'ultimo periodo del comma 3-quater dell'art. 55-quater, che riguarda le modalità di stima e quantificazione del danno all'immagine, l'illegittimità riguarda anche il secondo e il terzo periodo di detto comma perché essi sono funzionalmente inscindibili con l'ultimo, così da costituire, nel loro complesso, un'autonoma fattispecie di responsabilità amministrativa non consentita dalla legge di delega.
Devono essere, dunque, dichiarati costituzionalmente illegittimi il secondo, terzo e quarto periodo del comma 3-quater dell'art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001, come introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 116 del 2016.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale del secondo, terzo e quarto periodo del comma 3-quater dell'art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001, come introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 116 del 2016.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 2020.