Incostituzionale la corresponsione tardiva del TFS.  Corte Costituzionale sentenza n. 130 depositata il 23 giugno 2023

23.06.2023

Le indennità di fine servizio costituiscono una componente del compenso conquistato «attraverso la prestazione dell'attività lavorativa e come frutto di essa» (sentenza n. 106 del 1996) e, quindi, una parte integrante del patrimonio del beneficiario, il quale spetta ai superstiti in caso di decesso del lavoratore (sentenza n. 243 del 1993).

La natura retributiva attira le prestazioni in esame nell'ambito applicativo dell'art. 36 Cost., essendo l'emolumento di cui si tratta volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una «particolare e più vulnerabile stagione dell'esistenza umana» (sentenza n. 159 del 2019).

La garanzia della giusta retribuzione, proprio perché attiene a principi fondamentali, «si sostanzia non soltanto nella congruità dell'ammontare concretamente corrisposto, ma anche nella tempestività dell'erogazione» (sentenza n. 159 del 2019).

Il trattamento viene, infatti, corrisposto nel momento della cessazione dall'impiego al preciso fine di agevolare il dipendente nel far fronte alle difficoltà economiche che possono insorgere con il venir meno della retribuzione. In ciò si realizza la funzione previdenziale, che, pure, vale a connotare le indennità in  scrutinio, e che concorre con quella retributiva. 6.3.

Questa Corte deve farsi carico della considerazione che il trattamento di fine servizio costituisce un rilevante aggregato della spesa di parte corrente e, per tale ragione, incide significativamente sull'equilibrio del bilancio statale (sentenza n. 159 del 2019).

Non è da escludersi, pertanto, in assoluto che, in situazioni di grave difficoltà finanziaria, il legislatore possa eccezionalmente comprimere il diritto del lavoratore alla tempestiva corresponsione del trattamento di fine servizio.

Tuttavia, un siffatto intervento è, anzitutto, vincolato al rispetto del criterio della ragionevolezza della misura prescelta e della sua proporzionalità rispetto allo scopo perseguito. Un ulteriore limite riguarda la durata di simili misure.

La legittimità costituzionale delle norme dalle quali possa scaturire una restrizione dei diritti patrimoniali del lavoratore è, infatti, condizionata alla rigorosa delimitazione temporale dei sacrifici imposti (sentenza n. 178 del 2015), i quali devono essere «eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso» (ordinanza n. 299 del 1999). 6.4.– Ebbene, il termine dilatorio di dodici mesi quale risultante dall'art. 3, comma 2, del d.l. n. 79 del 1997, come convertito, e successive modificazioni, oggi non rispetta più né il requisito della temporaneità, né i limiti posti dai principi di ragionevolezza e di proporzionalità.

Occorre, ancora, considerare che l'odierno scrutinio di legittimità costituzionale si innesta in un quadro macroeconomico in cui il sensibile incremento della pressione inflazionistica acuisce l'esigenza di salvaguardare il valore reale della retribuzione, anche differita, posto che il rapporto di proporzionalità, garantito dall'art. 36 Cost., tra retribuzione e quantità e qualità del lavoro, richiede di essere riferito «ai valori reali di entrambi i suoi termini» (sentenza n. 243 del 1993).

Di conseguenza, la dilazione oggetto di censura, non essendo controbilanciata dal riconoscimento della rivalutazione monetaria, finisce per incidere sulla stessa consistenza economica delle prestazioni di cui si tratta, atteso che, ai sensi dell'art. 3, comma 2, del d.l. n. 79 del 1997, come convertito, allo scadere del termine annuale in questione e di un ulteriore termine di tre mesi sono dovuti i soli interessi di mora.

Non può, infatti, ritenersi tale la disciplina dell'anticipazione della prestazione dettata dall'art. 23 del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, ai sensi del quale è possibile richiedere il finanziamento di una somma, pari all'importo massimo di 45.000 euro, dell'indennità di fine servizio maturata, garantito dalla cessione pro solvendo del credito avente ad oggetto l'emolumento, dietro versamento di un tasso di interesse fissato dall'art. 4, comma 2, del d.m. 19 agosto 2020 in misura pari al rendimento medio dei titoli pubblici (Rendistato) maggiorato dello 0,40 per cento.

Analoghe considerazioni, peraltro, possono essere svolte in merito all'anticipazione istituita con la deliberazione del Consiglio di amministrazione dell'INPS 9 novembre 2022, n. 219. Essa è prevista a favore degli iscritti alla Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali e consente di usufruire di un finanziamento pari all'intero ammontare del trattamento maturato e liquido, erogato al tasso di interesse pari all'1 per cento fisso, unitamente alle spese di amministrazione in misura pari allo 0,50 per cento dell'importo, dietro cessione pro solvendo della corrispondente quota non ancora esigibile del trattamento di fine servizio o di fine rapporto.

Le normative richiamate investono solo indirettamente la disciplina dei tempi di corresponsione delle spettanze di fine servizio.

Esse non apportano alcuna modifica alle norme in scrutinio, ma si limitano a riconoscere all'avente diritto la facoltà di evitare la percezione differita dell'indennità accedendo però al finanziamento oneroso delle stesse somme dovutegli a tale titolo.

La lesione delle garanzie costituzionali determinata dal differimento della corresponsione delle prestazioni in esame esige, infatti, un intervento riformatore prioritario, che contemperi l'indifferibilità della reductio ad legitimitatem con la necessità di inscrivere la spesa da essa comportata in un organico disegno finanziario che tenga conto anche degli impegni assunti nell'ambito della precedente programmazione economico-finanziaria.