I dipendenti pubblici il cui rapporto di lavoro sia stato oggetto di “stabilizzazione” hanno diritto, ai fini della progressione stipendiale, a vedersi riconosciuti i pregressi periodi di lavor svolti. Sentenza n. 35668 del 19 novembre 2021.
Premesso che con sent. n. 387/2016, pubblicata il 28 novembre 2016, la Corte di appello dì Genova ha respinto il gravame di F. P. e confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della stessa sede ne aveva rigettato la domanda volta ad ottenere - nei confronti del Consiglio Nazionale delle Ricerche, di cui era divenuta (con decorrenza 16 gennaio 2012) dipendente a tempo indeterminato a seguito di positivo esito di procedura concorsuale - il riconoscimento dell'anzianità maturata durante il pregresso periodo di lavoro con contratto a termine e successive proroghe;
- che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice con tre motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito il C.N.R. con controricorso; rilevato che con il primo motivo viene dedotta la nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. per violazione dell'art. 324 cod. proc. civ., stante il formarsi di giudicato sulla parte della sentenza di primo grado, non oggetto di appello incidentale e contrastante con la tesi sostenuta dal C.N.R., nella quale il Tribunale di Genova aveva ritenuto che le domande di parte attrice sarebbero state meritevoli di accoglimento ove non vi fosse stato il "blocco economico" delle retribuzioni di fonte legislativa e che bene, di conseguenza, aveva fatto l'Ente a riconoscere ai soli fini giuridici il servizio prestato dalla ricorrente nell'arco temporale coperto dai contratti a termine (2008-2011);
- che con il secondo (subordinato) motivo viene dedotta la nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. (principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato), avendo la Corte di appello pronunciato su un tema (l'esistenza di ragioni oggettive legittimanti trattamenti diversificati) che non era stato devoluto al suo giudizio ed inoltre avendo trattato l'argomento del possesso da parte della ricorrente del dottorato di ricerca senza che tale nuovo elemento in fatto fosse mai stato introdotto in causa sin dal primo grado di giudizio;
- che con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 6 d.lgs. n. 368/2001, nonché del principio di non discriminazione di cui all'Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP del 1999 (da cui scaturisce la direttiva 1999/70/CE, clausole 4.1 e 4.3): sostiene, in sintesi, che, ai fini del riconoscimento dell'anzianità di servizio e delle conseguenti maggiorazioni economiche, non può costituire ragione oggettiva la diversità delle forme di reclutamento perché,come evidenziato dalla Corte di Giustizia in fattispecie analoga, occorre avere riguardo alle funzioni esercitate nell'espletamento del contratto di lavoro e l'obiettivo di evitare il prodursi di discriminazioni alla rovescia in danno dei dipendenti assunti a seguito del superamento di un concorso pubblico non può mai giustificare una normativa nazionale che escluda totalmente ed in ogni circostanza la valorizzazione del servizio prestato in qualità di lavoratore a tempo determinato;
- che, in applicazione del principio della "ragione più liquida" (Cass. n. 363/2019), deve prioritariamente esaminarsi il terzo motivo di ricorso;
- che lo stesso è fondato;
- che questa Corte si è già pronunciata sulla questione del riconoscimento dell'anzianità maturata sulla base di contratti a termine dai dipendenti del C.N.R. e di altri enti di ricerca, successivamente stabilizzati ai sensi della L. n. 296 del 2006, ed ha affermato che in tal caso al lavoratore "deve essere riconosciuta l'anzianità di servizio maturata precedentemente all'acquisizione dello status di lavoratore a tempo indeterminato, allorché le funzioni svolte siano identiche a quelle precedentemente esercitate nell'ambito del contratto a termine, non potendo ritenersi, in applicazione del principio di non discriminazione, che lo stesso si trovasse in una situazione differente a causa del mancato superamento del concorso pubblico per l'accesso ai ruoli della P.A., mirando le condizioni di stabilizzazione fissate dal legislatore proprio a consentire l'assunzione dei soli lavoratori a tempo determinato la cui situazione poteva essere assimilata a quella dei dipendenti di ruolo" (Cass. n. 27950/2017; negli stessi termini Cass. n. 7118/2018, n. 3473/2019, n. 6146/2019 e, fra le più recenti, Cass. n. 4195/2020, n. 15231/2020 e n. 15232/2020);
- che tale principio di diritto è stato affermato valorizzando la giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale, nelle pronunce successive agli arresti di questa Corte (Corte di Giustizia 20 giugno 2019, causa C- 72/18 Ustariz Arostegui; 11 aprile 2019, causa C- 29/18, Cobra Servizios Auxiliares; 21 novembre 2018, causa C- 619/17, De Diego Porras; 5 giugno 2018, causa C - 677/16, Montero Mateos), ha dato continuità alla propria interpretazione della clausola 4 dell'Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE, ribadendo che: a) la clausola 4 dell'Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l'obbligo di applicare il diritto dell'Unione e di tutelare i diritti che quest'ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15 aprile 2008, causa C- 268/06, Impact; 13 settembre 2007, causa C-307/05, Del Cerro Alonso; 8 settembre 2011, causa C-177/10 Rosado Santana); b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell'art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5) "non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l'applicazione di tale principi comporta il pagamento di una differenza di retribuzione" (Del Cerro Alonso, cit., punto 42) c) le maggiorazioni retributive, che derivano dall'anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9 luglio 2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata); d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e, con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani, Corte di Giustizia 18 ottobre 2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7 marzo 2013, causa C393/11, Bertazzi);
- che la stessa Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi in fattispecie nelle quali veniva in rilievo il mancato riconoscimento dell'anzianità di servizio maturata in epoca antecedente alla procedura di stabilizzazione prevista dalla L. n. 296 del 2006, ha evidenziato che la clausola 4 "osta ad una normativa nazionale, quale quella controversa nei procedimenti principali, la quale escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un'autorità pubblica siano presi in considerazione per determinare l'anzianità del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, come dipendente di ruolo nell'ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da ragioni oggettive aì sensi dei punti 1 e/o 4 della clausola di cui sopra. Il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di un contratto di un rapporto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tal genere" (Corte di Giustizia 18 ottobre 2012 in cause riunite da C- 302/11 a C-305/11, Valenza e, negli stessi termini, Corte di Giustizia 4 settembre 2014 in causa C - 152/14 Bertazzi);
- che infine la stessa Corte di Giustizia, sempre in relazione alle procedure di stabilizzazione ai sensi della I. 96 del 2006, ha esaminato anche la questione, prospettata dal giudice del rinvio, della necessità di evitare discriminazioni alla rovescia, ossia in danno degli assunti a tempo indeterminato, ed ha evidenziato che l'obiettivo, pur potendo costituire una "ragione oggettiva" ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell'accordo quadro, "non può comunque giustificare una normativa nazionale sproporzionata come quella controversa nel procedimento principale, la quale esclude totalmente e in ogni circostanza la presa in considerazione dei periodi di servizio svolti da lavoratori nell'ambito di contratti di lavoro a tempo determinato ai fini della determinazione della loro anzianità in sede di assunzione a tempo indeterminato e, dunque, del loro livello di retribuzione" (Corte di Giustizia, causa Bertazzi, cit., punto 16);
- che è sufficiente richiamare quest'ultimo arresto della Corte per escludere che il principio già affermato nelle altre pronunce sopra indicate possa essere rimeditato dal Collegio in ragione di una pretesa diversità fra i requisiti di accesso al rapporto a termine e quelli richiesti per la partecipazione alle procedure concorsuali finalizzate all'assunzione con contratto a tempo indeterminato; ritenuto conclusivamente che, in accoglimento del ricorso, l'impugnata sentenza n. 387/2016 della Corte di appello di Genova deve essere cassata e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla medesima Corte di appello in diversa composizione, la quale si atterrà ai principi di diritto sopra richiamati
P.Q.M
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Genova in diversa composizione. Così deciso in Roma nell'adunanza camerale del 13 maggio 2021.