
Anche la malattia professionale non tabellata "causata dal mobbing"deve essere indennizzata.Cass. Civ. n. 8948 Anno 2020
RILEVATO CHE:
La Corte di appello di Perugia, con la sentenza n. 103/2013, in accoglimento dei gravami formulati dall'INAIL, ha respinto la domanda di Omississ tesa ad ottenere il riconoscimento della natura professionale della malattia di cui era affetto, poiché causata dalla condotta vessatoria tenuta nei suoi confronti dal datore di lavoro;
che a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha ritenuto non tutelabile nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria gestita dell' Inail la malattia derivante non direttamente dalle lavorazioni elencate nell'articolo 1 del d.p.r. numero 1124/1965, bensì da situazioni di cd. costrittività organizzativa, come il "mobbing" dedotto nel ricorso introduttivo, richiamandosi alla sentenza del Consiglio di Stato n. 1576 del 17 marzo 2009 la quale ha sostenuto che la malattia professionale, per essere indennizzabile deve rientrare nell'ambito del rischio assicurato ex artt. 3 T.U. 1124/1965, che riguarda solo le malattie professionali tabellate o non tabellate, contratte nell'esercizio ed a causa delle lavorazioni specifiche previste in tabella;.
che avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione Omissis, affidato a 3 motivi; che l'INAIL ha resistito con controricorso;
che il P.G. non ha formulato richieste scritte;
che sono state depositate memorie illustrative dal ricorrente;
Invero secondo il risalente e costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte in materia di assicurazione sociale di cui all'art. 1 del DPR 1124/1965 rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio; ossia non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa: come questa Corte ha affermato in svariate occasioni (per le attività prodromiche, per le attività di prevenzione, per gli atti di locomozione interna, le pause fisiologiche, le attività sindacali) ai sensi dell'art. 1 TU in materia di infortuni sul lavoro (cfr., tra le tante, Cass. 13882/16, Cass.7313/2016, Cass. 27829/2009; Cass. 10317/2006, Cass. 16417/2005, Cass.7633/2004, Cass.3765/2004, Cass. 131/1990; Cass. 12652/1998, Cass. 10298/2000, Cass.3363/2001, Cass. 9556/2001, Cass.1944/2002, Cass.6894/2002, Cass.5841/2002" Cass. 5354/2002).
Lo stesso orientamento è stato riaffermato dalla Corte, a proposito dell'art.3 TU e delle malattie professionali, nella sentenza n. 3227/2011, con la quale la protezione assicurativa è stata estesa alla malattia riconducibile all'esposizione al fumo passivo di sigaretta subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, ritenuta meritevole di tutela ancorché, certamente, non in quanto dipendente dalla prestazione pericolosa in sé e per sé considerata (come "rischio assicurato"), ma soltanto in quanto connessa al fatto oggettivo dell'esecuzione di un lavoro all'interno di un determinato ambiente.
Ulteriore estensione dell'ambito della tutela assicurativa è stata realizzata sulla scorta della nozione centrale di rischio ambientale, che vale oggi a delimitare tanto oggettivamente le attività protette dall'assicurazione (lo spazio entro il quale esse si esercitano, a prescindere dalla diretta adibizione ad una macchina); quanto ad individuare i soggetti che sono tutelati nell'ambito dell'attività lavorativa (tutti i soggetti che frequentano lo stesso luogo a prescindere dalla "manualità" della mansione ed a prescindere dal fatto che siano addetti alla stessa macchina).
Tanto in conformità al principio costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui a parità di rischio occorre riconoscere parità di tutela (con riferimento al rischio ambientale, Corte Cost. 4.7.74 n.206; 9.7.1977 n.114).
In tal senso questa R.G.13645/2013 Corte si è espressa a Sez. Unite con la pronuncia 3476/1994 rapportando la tutela assicurativa "al lavoro in sé e per sé considerato e non soltanto a quello reso presso le macchine", essendo appunto la pericolosità data dall'ambiente di lavoro.
Tale interpretazione è oggi confermata testualmente dall'art. 10 comma 4 Legge 2000 n. 38 dal quale risulta che "sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l'origine professionale".
L'approdo, cui conduce questo lungo excursus, porta dunque ad affermare che, nell'ambito del sistema del TU, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica (come peraltro prevede oggi a fini preventivi l'art. 28, comma 1 del tu. 81/2008).
La Corte d'Appello aveva del tutto omesso di esaminare il fatto per cui il signor Omissis aveva subito sin da 2005 una sottrazione di compiti da parte del presidente della cooperativa, che lo costringeva ad un'attività forzata, emesso nel giudizio di primo grado.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di Appello di Perugia, in diversa composizione.