Al lavoratore stabilizzato vanno riconosciuti i precedenti periodi di lavoro a tempo determinato ai fini dell’azianità di servizio... Cass. Civile Ord. Sez. L Num. 9806 Anno 2020

06.06.2020

La Corte di Appello di Torino, con la sentenza n. 1107 del 2013, ha respinto l'appello proposto dal CNR e dall'INRIM - Istituto Nazionale di Ricerca Metodologica - avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accolto la domanda di Steur Petrus Paulus Maria, e dichiarato il diritto dello stesso al riconoscimento, ai fini della progressione stipendiale, dei periodi di servizio prestati in virtù di contratti a termine, e in parziale accoglimento del ricorso, condannava l'INR1M a pagare al ricorrente le conseguenti differenze retributive maturate dal 14 ottobre 2001 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 368 del 2001) sino all'ammissione alla classe stipendiale corrispondente all'anzianità maturata e l'INRIM e il CNR in solido al pagamento delle differenze retributive per il periodo compreso fra il 27 luglio 2005 (essendo stata interrotta la prescrizione con lettera del 27 luglio 2010) ed il 31 dicembre 2005.

La Corte territoriale ha premesso in punto di fatto che l'appellato, dopo aver prestato attività lavorativa alle dipendenze dell' INRIM e del CNR in forza di contratti a tempo determinato, dal 2 novembre 2001, era stato stabilmente assunto a seguito della procedura concorsuale, e al momento della definitiva immissione in ruolo si era visto azzerare l'anzianità pregressa, riconosciuta, invece, in pendenza del rapporto a termine.

Il giudice d'appello ha fondato la decisione sul principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell'Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70/CE, ed ha evidenziato che detto principio impedisce di applicare ai lavoratori assunti a tempo determinato condizioni di impiego, fra le quali rientra anche il riconoscimento a fini retributivi dell'anzianità di servizio, meno favorevoli rispetto a quelle riservate ai dipendenti stabilmente inseriti nei ruoli dell'amministrazione, salva la sussistenza di ragioni oggettive che giustifichino la disparità di trattamento.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorrono il CNR e l'INRIM, sulla base di un unico motivo, articolato in più punti, al quale ha resistito con controricorso il lavoratore.

                                                      Decisione

Il motivo di ricorso è infondato per le ragioni già evidenziate da questa Corte con le ordinanze n. 27950/2017, n. 7112/2018 e n. 3473 del 2019, alle quali il Collegio intende dare continuità, che hanno respinto analoghi ricorsi proposti in fattispecie nelle quali veniva in rilievo il mancato riconoscimento dell'anzianità maturata con rapporti a termine da dipendenti pubblici assunti all'esito delle procedure di stabilizzazione, e le cui argomentazioni di seguito si riportano.

Le richiamate pronunce si è premesso che la clausola 4 dell'Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE, nella parte in cui stabilisce che «per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano condizioni oggettive», è stata più volte interpretata dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la quale ha evidenziato che:

La clausola 4 dell'Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l'obbligo di applicare il diritto dell'Unione e di tutelare i diritti che quest'ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C-307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana);

le maggiorazioni retributive che derivano dall'anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva ( Corte di Giustizia 9.7.2015. in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata);

a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate ( Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi).

La stessa Corte di Giustizia, chiamata a pronunciare in fattispecie nelle quali veniva in rilievo il mancato riconoscimento dell'anzianità di servizio maturata in epoca antecedente alla procedura di stabilizzazione prevista dalla legge n. 296/2006, fattispecie analoga a quella in esame in cui il lavoratore .

I richiamati principi sono stati ribaditi dalla Corte di Giustizia nella recente sentenza 20 settembre 2018 in causa C-466/17, Motter, con la quale si è, in sintesi, osservato che al fine di «raggiungere un equilibrio tra i legittimi interessi dei lavoratori a tempo determinato e quelli dei lavoratori a tempo indeterminato» e di evitare «discriminazioni alla rovescia» è consentito, nel rispetto del principio del pro rata temporis, tener conto dei periodi di servizio prestati in misura non integrale, fermo però restando che al momento dell'assunzione come dipendente pubblico di ruolo deve essere valorizzata ai fini dell'anzianità anche la carriera pregressa del lavoratore a tempo determinato.

                                                             PQM

La Corte rigetta il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 200,00, per esborsi, euro 4.000,00, per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto. Così deciso in Roma, nell'adunanza camerate del 19 dicembre 2019.